La tragedia greca
Durante il V secolo a.C. furono composte più di mille tragedie; di questa vastissima produzione si sono conservati soltanto trentuno testi, appartenenti a tre grandi poeti: Eschilo, Sofocle ed Euripide.
È sulla base dei loro testi, dunque, che gli studiosi hanno potuto desumere i temi e la struttura delle tragedie.
Gli argomenti delle tragedie non erano frutto della fantasia dei drammaturghi: Eschilo, Sofocle ed Euripide attingevano la materia delle proprie opere dalle antiche leggende di dèi ed eroi (Giasone, Agamennone, Edipo, Prometeo ecc.), storie che i Greci ritenevano vere nella sostanza ma di cui collocavano gli eventi in un’epoca tanto lontana da essere divenuti sfumati nei contorni e al tempo stesso esemplari.
Usando personaggi noti a tutti, i poeti tragici ne riorganizzavano le vicende e inventavano dialoghi per mostrare il modo in cui il loro funesto destino si era compiuto, secondo una progressione degli eventi verosimile.
Assistendo a storie che destavano terrore e raccapriccio per i fatti di sangue rappresentati e pietà per il dolore dei protagonisti, gli spettatori vivevano una sorta di purificazione – o “catarsi”, secondo la definizione di Aristotele nella Poetica – dell’animo da tali emozioni.
La catarsi è stata generalmente interpretata come purificazione dalle passioni dovuta al fatto che lo spettatore, anziché viverle e subirle in prima persona, ne vedeva spiegate le cause sulla scena e giungeva a comprenderle come sbocchi necessari di originarie infrazioni alle leggi naturali e divine. Una cosa è, infatti, assistere alla sofferenza di un altro (un attore sulla scena), altra cosa è soffrire, provare il dolore in prima persona: il dolore personale annienta e non consente di razionalizzare, mentre il dolore per interposta persona commuove ma lascia spazio alla riflessione e al ragionamento sul male che ne è all’origine. Proprio la distanza temporale e psicologica dalle storie rappresentate, quasi mai desunte dalla storia recente, garantiva allo spettatore delle tragedie la possibilità di immedesimarsi nelle emozioni dei personaggi senza esserne troppo coinvolto.
Al riparo da passioni troppo forti e coinvolgenti, lo spettatore poteva insomma meditarvi sopra, riconducendole a una logica, a un sistema razionale di cause ed effetti. La funzione catartica delle tragedie si collegava più in generale alla loro funzione educativa.
Lo sviluppo tragico delle vicende degli eroi, lontani progenitori del popolo greco, induceva infatti lo spettatore a interrogarsi sulla condizione umana e a raggiungere un alto grado di consapevolezza circa la sua fragilità e i suoi limiti.
La commedia greca
Di tutte le commedie scritte nel V secolo a.C. a noi ne sono pervenute soltanto undici e tutte dello stesso autore, l’ateniese Aristofane (448-380 a.C. circa).
Le commedie di Aristofane, e presumibilmente tutte quelle del V secolo a.C., traevano spunto dalla vita contemporanea e prendevano di mira l’immoralità e la corruzione dei cittadini più in vista. Con l’aiuto di maschere gli attori impersonavano, senza preoccuparsi di cambiare il nome, sobillatori del popolo arroganti e violenti, generali ambiziosi e ignoranti, filosofi, oratori e poeti corruttori.
La finalità delle commedie era dunque non soltanto quella di far ridere il pubblico, di divertirlo, ma anche quella di controllare i potenti, di smascherarne le malefatte e perciò di stimolare la riflessione critica degli spettatori sulla classe dirigente.
Nel V secolo a.C. la commedia svolgeva insomma una funzione educativa grazie alla quale, suscitando il riso, si mettevano in discussione temi e problemi dell’attualità.
LE PARTI DEL TEATRO GRECO
Cavea– La cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale sono disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea è addossata ad una collina per sfruttarne il pendio naturale;
Scena– La scena (skené), costruzione a pianta allungata, frontalmente alla cavea, inizialmente semplice e in legno, era situata ad un livello più alto dell’orchestra con la quale comunicava mediante scale; la sua funzione originaria era soltanto pratica, cioè forniva agli attori un luogo appartato per prepararsi senza essere visti (in greco σχηνέ, skené, significa anche “tenda”). Solo successivamente venne usata come sfondo scenico. Divenne quindi sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. In seguito fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti;
Orchestra– L’orchestra (orkhestra, viene dal verbo ὀρκέομαι, orkeomai, che significa ballare, infatti indicava il luogo del teatro antico dove si danzava), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, è lo spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro. Al centro di essa era situato l’altare di Dioniso (thymele).