Marx e il comunismo

Per il filosofo tedesco Karl Marx, l’umanità si caratterizza per la capacità di produrre dei mezzi materiali di sussistenza che gli permettano di mangiare, bere, avere una casa e degli abiti per potersi liberamente occupare di politica, scienza, arte, religione ecc.
Di conseguenza l’aspetto più importante della vita organizzativa è l’economia.
Da questa premessa, Marx ha formulato una teoria dell’evoluzione sociale, la cui legge centrale è che il controllo dei mezzi di produzione dei beni per vivere porta all’emergere delle classi sociali.
Nella sua grande interpretazione della storia, Marx riconosce che in realtà, in origine, questi mezzi non erano di proprietà privata di singoli individui: tutta la terra era in comune. Col tempo però, la primitiva organizzazione comunitaria lasciò il posto alla differenziazione delle classi: un gruppo riuscì a monopolizzare le risorse vitali e usò il suo potere per sfruttare e dominare il resto della popolazione, creando istituzioni politiche per proteggere gli interessi della sua classe.
In questo modo la classe governante ha potuto sfruttare il resto della popolazione.
La liberazione di chi è sottomesso a questa ingiustizia deve avvenire distruggendo la base sostanziale di questa sopraffazione: in particolare è necessario rivoluzionare la struttura economica che, nel tempo, ha determinato questa situazione.
Certamente le classi sociali inferiori non accettano pacificamente questo sfruttamento: tuttavia, per Marx, finché la proprietà privata esiste, l’ingiustizia sociale di fondo rimarrà intatta. Per Marx, dunque l’origine dell’ingiustizia nella società, è data dal diffondersi della proprietà privata.
Queste riflessioni sul passato della civiltà, servirono a Marx solo come introduzione al suo interesse principale: l’analisi del mondo “capitalista” contemporaneo.
Per anni egli studiò attentamente la storia economica inglese per cercare di dimostrare che il capitalismo era all’ultimo stadio della società in cui c’erano divisioni di classe e che era destinato a crollare in seguito alla rivoluzione degli operai sfruttati.
Quella rivoluzione sarebbe stata l’ultima, perché avrebbe inaugurato il regno della società senza divisioni di classe. Solo allora la storia sarebbe arrivata ad un punto fermo.
Il sistema capitalistico si basa sullo sfruttamento del lavoro salariato in modo che il capitalista si appropri del “plusvalore” di ciò che l’operaio produce: ogni valore, infatti, deriva dal lavoro. Nel sistema capitalistico però il datore di lavoro paga agli operai solo una parte del valore che creano, appena quanto basta per sopravvivere. L’eccedente, o “surplus”, lo intasca.
Da qui parte la grande critica comunista e socialista alla società borghese e capitalista che, a suo avviso, era destinata a crollare, lasciando spazio alla società comunista, nella quale ogni ingiustizia e disuguaglianza sarebbero state cancellate.

Vignetta socialista che accusa lo sfruttamento capitalista