LA SCAPIGLIATURA, 1860-1880

Tradizionalmente la si colloca tra la crisi del Romanticismo ed il Verismo. Per pura comodità esplicativa la collochiamo quasi come premessa del Decadentismo perchè sembra anticiparne alcuni temi. Gli anni della sua insorgenza e diffusione sono quelli che vanno dal ’60 all’’80. Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti) è il primo ad usare questo termine in un suo romanzo intitolato appunto La Scapigliatura e il 6 febbraio.

Il termine traduce il termine francese Bohémien, con cui si designa una nuova figura di intellettuale in crisi, in atteggiamento di esasperata rivolta sociale, e per il quale la vita stessa è un’opera d’arte.

Un romanzo, quasi il caposcuola della Scapigliatura, è Cento Anni di Giuseppe Rovani, in cui è descritta la storia di una famiglia per quattro generazioni. Quest’opera è lo specchio dei tempi, corrotti ed ipocriti, caratterizzati da un predominio di una borghesia spregiudicata e cinica che copre lo schermo di una apparenza irreprensibile.

La Scapigliatura è un movimento letterario che porta alla ribalta una nuova figura d’artista: personalità geniali, sensitive, inquiete che fanno dell’arte uno strumento di provocazione e di attacco alla morale borghese e di svelamento delle contraddizioni della vita.

L’arte scapigliata esprime il disgusto per questo clima perbenistico e tranquillizzante. È una letteratura provocatoria, di rottura nei confronti della stabilità borghese e della cultura italiana ormai ancorata alle certezze etiche e patriottiche che il compiuto Risorgimento e il consolidarsi di una classe dirigente borghese hanno prodotto e solidificato nei livelli più alti della società.

L’artista scapigliato non si limita a mostrare le contraddizioni ma le vive nel tentativo di fare della propria esistenza il simbolo del diverso, della contestazione esplicita e sofferta alle convenzioni morali. In questo caso c’è un riecheggiamento della concezione romantica dell’artista come essere eccezionale, capace di cogliere gli aspetti profondi e misteriosi della realtà, a cui nessun ‘viaggio della fantasia’ è precluso.

In realtà, oltre che con l’arte, questi artisti ‘viaggiano’ con l’alcool, la droga, la vita sregolata e priva d’inibizioni. Si ribellano con la parola, la pittura, la musica e con la vita alla violenza sottile ma reale della società borghese e, sul piano estetico, si oppongono ai languori dell’estenuato romanticismo sentimentale del secondo Ottocento. C’è in loro la coscienza di una elezione, quasi consapevoli di una vocazione profetica, la profezia di un nuovo mondo. Essi esprimono il diritto dell’uomo ad essere se stesso, abolendo la maschera dell’ipocrisia, prendendo atto del male e del magma oscuro d’impulsi e d’istinti che ribollono sotto la superficie della convenzionalità e del perbenismo.