Nella raccolta Lo spleen di Parigi
Perdita d’aureola
“Ehilà! voi qui, mio caro? Voi in un postaccio? voi, il bevitor di quintessenza, voi, il mangiator d’ambrosia?”
“C’è da essere stupito, davvero. Mio caro, sapete il terrore che ho dei cavalli e delle vetture. Prima, come attraversavo in gran fretta il viale, e saltellavo nella mota, attraverso quel mobile caos dove la morte arriva galoppando da tutte le parti contemporaneamente, la mia aureola, in un brusco movimento, m’è scivolata dal capo nel fango della massicciata. Non ho avuto il coraggio di raccattarla. Ho ritenuto meno spiacevole perdere le mie insegne, che non farmi rompere l’ossa. E poi, mi sono detto, non ogni male viene per nuocere. Ora posso girare in incognito, fare delle bassezze e darmi alla crapula come i semplici mortali. Ed eccomi in tutto simile a voi, come vedete!”
“Dovreste almeno mettere un annuncio riguardo all’aureola, o farla richiedere dal commissario.”
“Assolutamente no! Mi trovo bene qui. Voi, voi solo m’avete riconosciuto. Del resto, la dignità m’è venuta a noia. Poi, mi piace il pensiero che qualche
poetastro la raccatterà e se ne cingerà sfacciatamente. Far felice uno, che
piacere! e soprattutto, felice uno che mi farà ridere!
Pensate a X, o a Z! Sarà proprio buffo, no?”
Giornata di pioggia, Gustave Caillebotte