MANZONI: IL CINQUE MAGGIO 1821, testo

Il CINQUE MAGGIO 1821

A. MANZONI,

Ei fu. Siccome immobile,

dato il mortal sospiro,

stette la spoglia immemore

orba di tanto spiro,

così percossa, attonita

la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima

ora dell’uom fatale;

né sa quando una simile

orma di pie’ mortale

la sua cruenta polvere

a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio

vide il mio genio e tacque;

quando, con vece assidua,

cadde, risorse e giacque,

di mille voci al sonito

mista la sua non ha:

vergin di servo encomio

e di codardo oltraggio,

sorge or commosso al subito

sparir di tanto raggio;

e scioglie all’urna un cantico

che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,

dal Manzanarre al Reno,

di quel securo il fulmine

 scoppiò da Scilla al Tanai,

dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri

l’ardua sentenza: nui

chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui

del creator suo spirito

più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida

gioia d’un gran disegno,

l’ansia d’un cor che indocile

serve, pensando al regno;

e il giunge, e tiene un premio

ch’era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio;

due volte nella polvere,

due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,

l’un contro l’altro armato,

sommessi a lui si volsero,

come aspettando il fato;

ei fe’ silenzio, ed arbitro

s’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio

chiuse in sì breve sponda,

segno d’immensa invidia

e di pietà profonda,

d’inestinguibil odio

e d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago

l’onda s’avvolve e pesa,

l’onda su cui del misero,

alta pur dianzi e tesa,

scorrea la vista a scernere

prode remote invan;

tal su quell’alma il cumulo

delle memorie scese!

Oh quante volte ai posteri

narrar se stesso imprese,

e sull’eterne pagine

cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito

morir d’un giorno inerte,

chinati i rai fulminei,

le braccia al sen conserte,

stette, e dei dì che furono

l’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili

tende, e i percossi valli,

e il lampo de’ manipoli,

e l’onda dei cavalli,

e il concitato imperio

e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio

cadde lo spirto anelo,

e disperò; ma valida

venne una man dal cielo,

e in più spirabil aere

pietosa il trasportò;

e l’avvïò, pei floridi

sentier della speranza,

ai campi eterni, al premio

che i desideri avanza,

dov’è silenzio e tenebre

la gloria che passò.

Bella Immortal! Benefica

Fede ai trïonfi avvezza!

Scrivi ancor questo, allegrati;

che più superba altezza

al disonor del Golgota

giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri

sperdi ogni ria parola:

il Dio che atterra e suscita,

che affanna e che consola,

sulla deserta coltrice

accanto a lui posò.

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