MANZONI: IL 5 MAGGIO 1821, commento

Il cinque maggio fa parte dei componimenti manzoniani di argomento storico e fu insolitamente scritta di getto (in soli tre giorni), ispirata da un evento contemporaneo e contingente: la morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena.

Per Manzoni, dopo la conversione, la letteratura deve avere “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”. I fatti contemporanei sono analizzati in chiave religiosa e con l’entusiasmo dato dalla recente conversione: è la prospettiva dell’eternità che dà pieno significato alla vicenda terrena di Napoleone, in cui si sono alternate continuamente gloriose ascese e rovinose cadute.

I due monosillabi isolati ed antitetici con cui si apre Il cinque maggio – “Ei” (“quel grande”, “quel famoso”) e “fu” (“è morto”) – racchiudono già tutta l’essenza della vita del personaggio, che non ha bisogno di essere nominato esplicitamente sia perché la sua identità si può dedurre dal titolo, sia perché il suo ricordo è ancora vivo nel pensiero di tutti: infatti, in tutta la poesia, non è mai nominato apertamente.

Tutta la lirica si basa su una serie di antitesi: tra stasi e movimento (“ei fu”, “immobile” vs “con vece assidua / cadde, risorse e giacque”; “mobili, lampo, onda, concitato, celere”, “fulmine, baleno, scoppiò, rai fulminei” vs “ozio, stanca man, tacito, inerte”), tra luce e tenebre (“orba, tenebre” vs “raggio, fulmine, baleno, rai”), tra lo spazio immenso delle conquiste (“dall’Alpi alle Piramidi…”) e quello angusto dell’esilio (la “breve sponda”). Nella prima parte dell’ode, fino al verso 54, è rievocata la vicenda terrena dell’eroe, del quale Manzoni non aveva mai tessuto elogi finché era in vita. La rievocazione storica è interrotta da una pausa di riflessione sulla gloria terrena (vv. 31-32).

Nella seconda parte (che inizia con “e sparve”, evidentemente parallelo all’”ei fu” iniziale), è rievocato l’esilio a Sant’Elena, durante il quale l’eroe ripensa alla sua vita ed arriva alla disperazione più nera: ciò che poteva sembrare una grande impresa, nel ricordo resta solo un fallimento. Ma nella parte finale, i contrasti vengono superati grazie all’ingresso di una nuova dimensioni, fuori dallo spazio e dal tempo: l’eternità, dinnanzi alla quale la gloria terrena si annulla nel silenzio e l’immobilità, inizialmente simbolo della negatività della morte, diventa conquista della pace per l’eternità.

Il tema di fondo è la meditazione sull’eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia, guardato da Manzoni con grande pessimismo, in quanto cercare la gloria su questa terra può provocare solo dolore, sofferenza, morte. Secondo Manzoni, nella storia, o si è oppressi o si è oppressori: se si decide di agire e compiere il male si è oppressori, se ci si rifiuta di farlo, si è oppressi, come è più volte ribadito nell’Adelchi (che, morente, afferma: “non resta / che far torto o patirlo”) Anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso: oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento. Nella prospettiva dell’eterno, invece, si svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte.

Sintatticamente, prevalgono i periodi brevi e concitati per rendere la rapidità d’azione dell’eroe (se si escludono il lungo periodo iniziale e quello che occupa i vv. 37-48); sono frequenti le anastrofi, gli iperbati e le collocazioni del verbo in fondo alla frase. Sono numerosissimi gli aggettivi, spesso di sapore latineggiante (“immemore”, “cruenta”, “anelo”….).

Tratto dal sito fareletteratura.it

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