G. Boccaccio, Calandrino e il porco rubato

Calandrino aveva un piccolo terreno non lontano da Firenze, avuto in dote dalla moglie, dal quale ogni anno, insieme ad altre cose, ricavava un porco. Era sua usanza di andarsene colà sempre, nel mese di dicembre, con la moglie in campagna, per ucciderlo e farlo salare.

Una volta, essendo la moglie ammalata, Calandrino andò da solo ad uccidere il porco.

Bruno e Buffalmacco, sapendo che Calandrino era solo, senza la moglie, se ne andarono da un prete, carissimo amico loro, che abitava vicino a Calandrino, e si trattennero qualche giorno con lui.

La mattina in cui giunsero, Calandrino aveva appena ucciso il porco.

Egli accolse volentieri i due amici con il prete e, per vantarsi della sua bravura, li fece entrare in casa e mostrò loro il porco.

Essi videro che il porco era bellissimo e gli consigliarono di venderlo e di godersi insieme con loro, i denari ricavati, invece di salarlo. Doveva, poi, dire alla moglie che gli era stato rubato.

Calandrino non volle ascoltare i cattivi consigli, temendo che la moglie potesse cacciarlo di casa.

Poi li invitò a cena di malavoglia, tanto che essi rifiutarono e se ne andarono.

Poco dopo Bruno chiese a Buffalmacco se, quella notte, volevano rubare il porco e spiegò come fare. Buffalmacco e il prete furono d’accordo.

Allora Bruno spiegò il suo piano, dicendo che Buffalmacco sapeva bene come fosse avaro Calandrino e come bevesse volentieri quando pagavano gli altri, perciò dovevano portarlo alla taverna.

Il prete allora doveva far finta di offrire tutto lui per onorarli e non doveva lasciar pagare lo stupidone, che si sarebbe sicuramente ubriacato. La qual cosa sarebbe stata utile, perché era solo in casa.

Così fecero. Calandrino, vedendo che il prete non lo faceva pagare, si mise a bere molto abbondantemente.

Era già notte inoltrata quando andò via dalla taverna, senza voler cenare altro, entrò in casa e, credendo di aver serrato l’uscio, lo lasciò aperto e se ne andò a letto.

Bruno e Buffalmacco se ne andarono a cenare col prete; dopo cena presero gli attrezzi per entrare in casa di Calandrino, come aveva disposto Bruno.

Andarono in silenzio, ma, giunti alla casa, trovato l’uscio aperto, rubarono il porco e lo portarono a casa del prete. Lo nascosero e se ne andarono a dormire.

Calandrino al mattino si svegliò completamente sobrio; scese giù, guardò, non vide il suo porco e vide l’uscio aperto. Domandò all’uno e all’altro se sapessero chi l’aveva preso e cominciò a gridare che il porco gli era stato rubato.

Quasi piangendo, diede la notizia a Bruno e a Buffalmacco, accorsi immediatamente.

Bruno, avvicinatosi, gli consigliò di gridare più forte in modo che tutti credessero che veramente il porco gli era stato rubato.

A niente valeva il fatto che Calandrino insistesse nell’affermare che il porco gli era stato rubato sul serio.

Intervenne Buffalmacco affermando che, se veramente il porco gli era stato rubato, egli sapeva come fare per riaverlo. Infatti il ladro non poteva essere venuto dall’India, ma doveva essere uno dei suoi vicini. Se li poteva radunare, egli avrebbe fatto loro l’incantesimo del pane e del formaggio, così avrebbero visto subito chi l’aveva rubato.

Ma Bruno obiettò che i gentilotti che erano lì intorno, perché sicuramente era stato uno di loro, conoscendo l’incantesimo non sarebbero andati. Propose, invece, di ricorrere alle gallette di zenzero con vernaccia e di invitarli a bere.

I contadini, non sospettando, sarebbero sicuramente andati e le gallette di zenzero si potevano benedire come il pane e il cacio.

Calandrino fu d’accordo affermando che se avesse saputo chi era stato, sarebbe stato mezzo consolato.

Bruno, allora, gli chiese dei denari per andare a Firenze e comprare tutto ciò che serviva.

Calandrino gli dette tutti i quaranta soldi che aveva.

Bruno, andato a Firenze, da un suo amico speziale comprò una libra di belle galle e ne fece confezionare due libre con zenzero, mischiato con succo di aloe fresco, poi le fece ricoprire con lo zucchero, come le altre. Per non confonderle fece fare loro un segnetto, per poterle riconoscere.

Comprato un fiasco di buona vernaccia, se ne tornò in campagna da Calandrino e gli disse di invitare per l’indomani mattina tutti i sospettati, sicuro che l’indomani, essendo festa, tutti sarebbero andati volentieri.

Promise che, durante la notte, insieme a Buffalmacco, avrebbe fatto l’incantesimo sopra le galle e la mattina successiva gliele avrebbe portate. Per amore dell’amico, egli stesso avrebbe fatto e detto quello che si doveva fare e dire.

Calandrino così fece. Radunata una buona compagnia di giovani fiorentini, che erano in campagna, e di contadini, la mattina seguente, davanti alla chiesa, intorno all’olmo, Bruno e Buffalmacco giunsero con la scatola delle gallette e con il fiasco di vino.

Sistemati tutti in cerchio, Bruno disse loro “Signori, mi conviene spiegarvi la ragione per cui siete qui, perché se succede qualcosa di spiacevole per voi, non vi dobbiate lagnare con me. A Calandrino ieri notte è stato rubato un bel porco e non riesce a trovare il ladro. Siccome deve averglielo rubato uno di voi, vi darà da mangiare queste galle, una per uno, e da bere. Sappiate che chi ha rubato il porco non potrà mandar giù la galletta, anzi gli sembrerà più amara del veleno e la sputerà. Perciò, prima che subisca questa vergogna in presenza di tanti, è meglio che il ladro in confessione lo dica al parroco ed io eviterò di fare ciò.”

Tutti i presenti dissero che ne avrebbero mangiato volentieri.

Bruno, allora, li mise in ordine, inserendo tra loro anche Calandrino, e cominciò a dare a ciascuno la sua.

Come fu davanti a Calandrino, presa una pillola di zenzero, gliela mise in mano.

Calandrino subito se la gettò in bocca e cominciò a masticare; il biscotto era talmente amaro che lo sputò.

Ognuno guardava l’altro per vedere chi sputasse la sua.

Bruno, che ancora non aveva finito di darle a tutti, come si accorse che Calandrino aveva sputato la sua galletta, per essere sicuro che non l’aveva sputata per altri motivi, gliene diede un’altra e gliela mise in bocca, continuando il suo giro. Al poveretto se la prima era sembrata amara, la seconda sembrò amarissima.

Ma, vergognandosi di sputarla, se la tenne in bocca, masticandola un po’e, tenendola in bocca, cominciò a versare lacrime grosse come nocciole. Infine, non potendone più, la sputò, come aveva fatto con la prima.

Frattanto Buffalmacco e Bruno davano da bere alla brigata; come videro ciò, tutti dissero che Calandrino il porco se l’era rubato egli stesso e vi furono alcuni che lo rimproverarono aspramente.

Andati via tutti, rimasero con Calandrino soltanto Bruno e Buffalmacco.

Buffalmacco cominciò a dire che aveva ben capito che aveva nascosto il porco lo stesso Calandrino, perché non voleva dar loro da bere con quei danari che ne aveva guadagnato. Voleva sapere dal compagno se avesse guadagnato dalla vendita almeno sei fiorini.

E, mentre Calandrino si disperava, Bruno disse: “Comprendi bene, Calandrino, un tale della brigata, che con noi mangiò e bevve, mi disse che tu avevi quassù una giovinetta, a tua disposizione, e le davi quello che potevi. Sicuramente le hai mandato quel porco.  Ora ti stai prendendo gioco di noi. Noi siamo abituati alle tue beffe e le conosciamo, tu non ce ne potresti fare di più. E, in verità, a noi è costato molta fatica fare l’incantesimo, perciò ti chiediamo che ci doni due paia di capponi, se non vuoi che diciamo a monna Tessa ogni cosa”.

Calandrino, vedendo che non era creduto, pensando che aveva già provato molto dolore, non volendo anche i rimproveri della moglie, diede loro due paia di capponi, che i due briganti si portarono a Firenze, dopo aver salato il porco.

E così lasciarono Calandrino con il danno e con le beffe. 

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