DANTE ALIGHIERI, TANTO GENTILE TANTO ONESTA PARE: ANALISI

ANALISI SONETTO

Nel sonetto, espressione di un mito d’amore che da ‛passione’ si sublima in ‛visione’, il poeta non delinea un ritratto di Beatrice, ma si propone di raffigurare le sue mirabili ed eccellenti operazioni: un agire attraverso il quale si delinea un’essenza. Da un lato è Beatrice che pare, ossia, come traduce giustamente il Contini, ” appare evidentemente ” o ” si manifesta nella sua evidenza “; e questa parola tematica, ricorrente all’inizio di ciascuno dei quattro membri metrico-sintattici del sonetto, introduce un discorso inteso a “enunciare quasi teoricamente un’incarnazione di cose celesti” (e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare, vv. 7-8); dall’altro il tremore, l’ineffabile dolcezza che pervade l’animo del contemplante dinanzi a quella apparizione-rivelazione. E l’ultima parola del sonetto – Sospira – esprime il senso d’indefinita e trepida nostalgia suscitata dal dispiegarsi di una creaturale bellezza sentita come manifestatio di un’altissima perfezione spirituale. Ma la bellezza fisica è figurativamente assente: nell’atmosfera di contemplazione assorta si stagliano, impalpabili e senza peso, i gesti di Beatrice (pare, saluta, si va, par, mostrasi, dà… dolcezza, par, va dicendo), in situazione anche sintatticamente privilegiata, posti, come sono, in una principale o coordinata di essa; mentre la reazione del contemplante è espressa in subordinate e, per così dire, in forma negativa: la lingua che diventa muta, gli occhi che non ardiscono di guardare, la dolcezza non esprimibile, il sospiro che è un confessarsi vinti, soverchiati. Anche il prevalente schema sintattico della consecutiva sottolinea il continuo raffronto fra una perfezione sovrumana e l’umiltà di chi la recepisce come un miracolo di vivo, immoto splendore, in una statica fissità di testimonianza.

Attributi dominanti di Beatrice sono gentilezza, onestà, umiltà: tre termini chiave, com’è noto, di tutta la poesia della lode. Il primo indica nobiltà interiore e spiritualità eletta; il secondo l’atteggiarsi sensibile di questa negli atti; il terzo la grazia serena dei modi e dell’animo, la mitezza e la benevolenza opposte a superbia e ira, culminanti nell’intima dolcezza che è anche dispo nibilità all’amore, inteso, di là dall’effimero incanto del senso, nella sua vera dimensione ontologica, cioè come compartecipazione della persona all’ordinata armonia dell’essere.

Non può comprendere la passione chi non l’ha provata.

DANTE ALIGHIERI

FIORENTINO

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